lunedì 11 marzo 2013

Sibilla e Pierina



Fra le carte e pergamene impolverate conservate nell’archivio dei signori di Angera si trovano, raccolte da un rigore positivistico in una cartella che riunisce, sarcasmo dell'alfabeto, le voci Gioco e Giustizia, le pergamene dei processi  inquisitoriali contro Sibilla e Pierina, accusate, alla fine del XIV secolo a Milano, di essere eretiche relapsae, recidive, di aver senza vergogna seguito la Signora nel Gioco lungo i Sentieri dei Morti, e per questo infine consegnate al braccio secolare per subire la pena del fuoco...
 
Sibilla. Sibilla è il mio nome, ma non ha importanza adesso, mentre spio fra i fili d’erba la danza silenziosa della Signora e delle creature felici. Appaiono e scompaiono al capriccio delle nubi sulla luna, ed il loro silenzio è una musica che scioglie il peso che mi lega a terra. Trattengo il respiro e capisco che tutto è possibile qui ed ora 


Fiele. Il mio nome non è Pierina, qui, per terra, il respiro rotto dalle bastonate di quel vigliacco ubriacone. Non sono Pierina mentre sputo il sangue quasi raggrumato e mi trascino vicino alle braci del fuoco illividito, per scoprire che non sono ancora di pietra.




Avevo promesso ai frati che non avrei più partecipato al gioco, non avrei più calcato le orme della Signora con i vivi e i morti, ma non c’è peccato in questa carola silenziosa, non ci sono urla sguaiate né ghigni distorti, sto imparando a non avere paura. Vorrei che l'acqua coprisse i miei passi e cancellasse il sentiero del ritorno.



Anche questa domenica a prendere insulti e sputi sul sagrato di San Marco c’è Sibilla, la figlia del vasaio. Che avrà combinato questa volta, da meritare addirittura le croci gialle sulle vesti, il bollo dell’Inquisizione? Avrà raccontato un’altra delle sue favole, povera sciocca, ora ne dovrà raccogliere i cocci...



Questa mattina fa freddo mentre aspetto la predica davanti a San Marco. Deve essere tutta questa gente che mi gira intorno, come una giostra, ma di ghiaccio tagliente. Solo Pierina, la moglie del ciabattino, sta ferma e mi guarda, con gli occhi, non con gli sputi.



Non ho più voglia di sentir messa, ma se me ne vado ora la gente mi guarderà storto, si segnerà la mia faccia e alla prima occasione un qualsiasi meschino delitto avrà il suo colpevole. E poi c’è Sibilla, non so che mi prende, ma non voglio lasciarla sola.



È arrivato il frate: prima che salga sul pulpito il suo sguardo striscia lungo il mio corpo come bisce di neve sporca e quando con voce tagliente comincia a urlare del nero inferno è me che indica il suo dito ossuto. Parla di demoni e di fuoco, ma io conosco l'inferno e so che è freddo e grigio, vuoto come un abbraccio non ricambiato, silenzioso come la disperazione più nera, come la pancia vuota di un bambino.  



Io sono qui e so che ci sono cose più grandi di me, ma la mia testa è troppo piccola per tentare di afferrarle. Se qualcuno mi parlasse di terra e fuoco, di pane e di vino, del dolore e della sete, allora sì capirei, ma le cose dei frati... quelle no. Se qualcuno mi parlasse di sole sulle palpebre socchiuse o di dita tra i capelli potrei ascoltare e partecipare al mondo con ogni parte di me. Perché i frati ci parlano di un inferno nell’altra vita? Come è possibile che faccia più paura di quello che il sole nasconde ogni sera?



Il vento freddo porta via le ultime parole del predicatore insieme alla gente che torna ognuno al proprio guscio. Anche Pierina ormai si è voltata e cammina, la testa china, pensieri bui le curvano la schiena. Le corro dietro: un attimo e l’ho raggiunta, le prendo la mano, la faccio girare: “Nell’acqua della luna ogni faccia è pulita, seguimi...”.



La mano di Sibilla è calda, il suo sguardo non conosce questo inverno. Le sue parole sono il flauto del pifferaio di cui cianciano i saltimbanchi. All’improvviso però qualcuno ci urta, l’aria si spezza e davanti agli occhi ora ho le croci gialle della penitenza. Mi libero con uno spintone e comincio a correre, il gelo mi artiglia via le lacrime dal volto, ormai sì di pietra.



Non amo mio padre, né il suo odore acido né il suo sguardo vuoto, ma quando mi siedo al tornio e l’argilla fredda scorre fra le mie dita sento che qualcosa ci unisce, nel desiderio di dare una forma che si tocca a quanto c’è solo nella nostra testa. Quando l’otre sarà asciutto lo cuocerò, così i colori potranno fissarsi e lo porterò dall’oste perché lo riempia, la donna che sa di gatto mi ha già dato le sue erbe del sonno.



Sono stata tutto il giorno a contrattare con il conciatore perché mi facesse un nuovo credito per qualche pezza con cui mio marito non farà mai nulla. La casa è buia e fredda, ma non silenziosa: lui è nell’angolo accanto al fuoco, accoccolato su sé stesso, dorme, ubriaco come sempre. Forse stasera niente botte... o forse... mai più botte: afferro l’otre che è rotolata a terra poco lontana e penso a cosa succederebbe se gliela spaccassi in testa. Penso che se non riuscissi ad ammazzarlo lui mi ucciderebbe a calci e sarebbe finita comunque. Penso che...



Nell’acqua della luna ogni faccia è pulita...



La luce che penetra dalla piccola finestra senza tende illumina per un attimo l’orciolo e la mia mano si ferma. La superficie rossa, porosa, è attraversata da una banda smaltata: linee e colori parlano per me e mi offrono un’alternativa, un bivio nel sentiero, una traccia diversa sulla linea della mia mano fredda.



Seguimi...



L’appuntamento è dietro la casa di Anesina, la senza figli, asciutta come il pozzo polveroso dietro cui mi nascondo. Il cuore mi batte ovunque, in testa e sulla punta delle dita... il mio cuore batte! Solo per questo, per aver scoperto che non è ancora di pietra, ma di carne e sangue, sarebbe valsa la pena di lasciare tutto e venire qui. Nuovi pensieri chiacchierano nella mia testa, eccitati. Cerco di zittirli, come se qualcuno potesse sentirli, quando tutto è spazzato via da una mano che all’improvviso stringe la mia spalla: nel buio due occhi e un sorriso.



Sono il vento d’inverno, nessuna porta mi può rinchiudere. E sono acqua che scorre, scivolo nell’ombra silenziosa, ma lascio una scia d’argento come la lumaca, per non perdere il mio ritorno. Ora sono accanto a Pierina. E sono la chiave della sua prigione.



Ho visto prima il fantasma di vino del suo respiro, poi la terra dura contro il mio viso, non il pugno che mi ha riempito la bocca di sangue e paura e rabbia. Due paia di braccia mi sollevano e cominciano a trascinarmi: accanto a me Sibilla, gli occhi sbarrati a fissare senza sguardo i frati fermi davanti a noi. Una risata da ubriaco graffia le mie spalle.



No, non di nuovo...



Urla, botte, spintoni. La luce delle torce abbaglia e nasconde la città che si finge addormentata.

Perdo i sensi e quando mi risveglio la paglia fradicia mi punge le guance tumefatte. Lungo le pareti umide, gocciola il pianto di Sibilla, da qualche parte, nel buio di un’altra cella. Solo lentamente i miei occhi riescono a strappare dalle tenebre i tratti di un uomo, in piedi, in silenzio, di fronte a me.


Non ritroverò più il sentiero, la Signora è perduta, il gioco è finito.



Frate Aimerico, fra un colpo e l’altro di una tosse che spero presto se lo porterà via, mi dice tutto il suo dispiacere per avermi trovato sulla via che porta al Maligno, ed il suo sollievo per essere arrivato in tempo a salvare la mia anima. Sembra più dispiaciuto e meno sollevato quando se ne va asciugandosi il mio sputo dalla faccia pallida.

Il tempo è scandito dai crampi della fame e del gelo che mi mangia lentamente. È solo dopo secoli che qualcuno mi strappa dalla cella e mi conduce, lungo scale e corridoi, in una stanza calda e illuminata: il paradiso per farmi cadere. Su una sedia al centro della sala c’è Sibilla: una bambola di stracci, un fiore strappato dalle sue radici.
È per lei, non per i corvi che mi circondano con gli occhi neri e vuoti, che comincio a raccontare.
Parlo di cose che non ho mai visto, che neanche avrei pensato potessi immaginare, cucio tra loro favole e sogni, storie bisbigliate alla sera accoccolati davanti al calore del camino, storie che i folli urlano sbadati per strada, storie che solo le donne conoscono...
Tesso parole come una coperta per proteggere Sibilla, e penso che nulla di tutto ciò può essere peccato...


Le carte sopravvissute raccontano la storia scritta dagli inquisitori. Ma alla luce della luna, un’altra verità affiora...


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